Per Rifare Un Popolo a Dio

Per Rifare Un Popolo a Dio
A distanza di trent’anni dalla morte di don Alberto Zanini viene ripubblicato, in una versione aggiornata con nuove testimonianze, questo libro che permette di incontrarlo attraverso le sue stesse parole e il racconto di chi l’ha conosciuto.
Don Alberto è morto a trentasei anni, giovane, molto giovane, ma avviato verso la conquista di quella giovinezza che don Luigi Giussani disse di aver visto rispendere nel volto di un sacerdote ultraottantenne mentre pronunciava la formula con cui iniziava la Messa nella liturgia tridentina: «Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam». Il Dio che rende lieta la mia giovinezza: si respirano questa letizia e questa fede leggendo gli appunti per le omelie che don Alberto preparava scrupolosamente e trascriveva sul suo quaderno. È una fortuna averle ritrovate, redatte e pubblicate.
Dei tanti spunti che questo libro offre per la meditazione, cioè per una piena presa di coscienza di sé, del mondo e della vita (nulla di più lontano da don Alberto del suggerire pratiche pie), ne voglio cogliere e segnalare uno, quello della ragionevolezza della fede.
Scrive a un amico il 17 febbraio 1975: «Non c’è distanza, non ci può essere il distacco dell’estraneità, né l’abisso che l’odiosa e gelida indifferenza fa presto a scavare, non ci può essere incapacità di intendersi tra «Gli uomini che non si stancano di desiderare ciò che è vero, che non lasciano inaridire la loro passione alla vita, ma sempre rinnovano l’attesa di un “più” che si deve prima o poi svelare […]. Che cosa resta di un uomo quando non conosce più l’esperienza di questa attesa? […] Ti chiedo di essere fedele fino in fondo al desiderio che hai dentro di una vita vera, di rapporti più umani, di un significato e di un amore che abbraccino tutta la tua vita e le donino una continua fioritura».
Undici anni dopo, il 21 gennaio 1986, dirà: «Quando un figlio chiederà ai genitori: ma perché credi in Dio? Perché sei cristiano? Allora i grandi non potranno fare a meno di raccontare una storia, anzi la storia, la loro, che poi è anche la nostra. Dovranno raccontare dei fatti, rievocare dei volti, dovranno spiegare certe parole con la carne viva degli avvenimenti, dovranno cominciare col dire: “Vedi, tutto è cominciato il giorno in cui mi è capitato che…, la volta che ho visto e udito… Allora ho iniziato a capire che davvero Dio è amante della vita, che è presente tra noi e trasforma chi Lo accoglie, che ci dà il centuplo quaggiù”. Dio si dimostra nella storia. Questa è la ragione per eccellenza! Perché non mi basta che tu mi dimostri intellettualmente la ragionevolezza della fede: io ho bisogno di poter vedere sulla tua faccia, nelle tue parole, nel tuo modo di essere, in quello che fai che Dio è tutto per te, che Egli compie e realizza la tua umanità, che ti infonde coraggio e voglia di vivere! L’unico scopo della nostra amicizia è far nostra questa ragione!».
La vita di don Alberto, continuata in questi trent’anni in coloro che lo hanno incontrato (anche attraverso queste pagine), è totalmente riassunta in questo dialogo tra il suo desiderio e l’incontro con la “ragione” che nello stesso tempo lo compie e lo perpetua. Come dice sempre nell’omelia citata: «Solo Cristo apre continuamente ad ogni istante di fronte a noi l’orizzonte di infinite possibilità!».
S.E.R. Mons. Filippo Santoro
Arcivescovo Metropolita di Taranto